12/1/2014
Organizzazione: Andrea Ambroni
Foto e report: Maurizio Prati - Mario Alai
Resoconto della giornata
La giornata non era iniziata bene: non era suonata la sveglia di Andrea, ma dove era suonata le proprietarie (vedi Simona e Lucia) si chiedevano seriamente: ma chi me lo fa fare di alzarmi? Bene o male sulle 8,20 ci ritroviamo al fatidico parcheggio della Conca Verde, tutti in ottima forma: Mario convalescente, Ettore reduce da disturbi gastrointestinali, Simona raffreddata, Lucia influenzata, Elisabetta all’ottavo mese di gravidanza.
Chissà cosa ci faceva uno sano come Maurizio in mezzo a noi! Si parte dunque sotto i migliori auspici: percorreremo la Via dei Legni! Chissà perché si chiama così. Essendo attesi solo per l’una al rif. Asqua per un lauto pranzo, facciamo anzitutto tappa a Camaldoli per una seconda colazioncina (a base di crostatine, dolcetti di castagne e castagne lesse calde). Alle 10 siamo al Montanino, balziamo in sella, Elisabetta balza al volante: chi arriverà prima al rifugio? Lei prende a sinistra per la strada, noi a destra per il “sentiero dei tedeschi” (CAI n. 94), single track dall’ottimo fondo, pianeggiante che sembra fatto a livella, ma in continua esposizione sulla scarpata, perché segue la curva di livello sul versante piuttosto ripido. Nulla di male, basta fare attenzione … finché un albero caduto sbarra il sentiero: bisogna scendere sollevare la bici, scavalcare. Dopo 50 m. un altro. Poi altri tre a fila: doppia gabbia, sembra di stare al concorso ippico: ma noi siamo i cavalli! E via così, ne contiamo una decina… poi un’altra … pare che le forti piogge e il gran vento del novembre scorso abbiano fatto una strage. Ormai non li contiamo più, ma quando alla fine siamo al Poggio Segaticcio, ci siamo fatti i bicipiti alla Braccio di Ferro, siamo mezz’ora in ritardo sulla tabella di marcia, e … abbiamo scoperto perché si chiama la Via dei Legni! Invece no: la via dei Legni incomincia solo ora: una ripida traccia in discesa, questa invece che taglia le curve di livello quasi a perpendicolo. Scende dall’alto del crinale, e serviva per il trasporto dei grandi tronchi della foresta fino a Pratovecchio, da dove sull’Arno venivano fatti galleggiare fino al Firenze per la fabbrica del Duomo, e a Pisa per le costruzioni navali. I tronchi erano trainati dai gioghi di buoi, che infatti non ci hanno lasciato un percorso molto in ordine: il fondo accidentato e sassoso ci obbliga a scendere a piedi per una ventina di minuti. In certi punti la pendenza è tale che i tronchi sarebbero partiti in caduta libera travolgendo i buoi davanti a loro, se non fossero stati opportunamente frenati con robusti canaponi fatti scorrere attorno a grossi alberi circostanti. Divallati per circa 250 m. di dislivello, giungiamo a Valagnesi, piccolissimo e suggestivo borgo in pietra, oggi amenamente restaurato. La giornata è magnifica, il sole ci accompagna occhieggiando tra gli alberi, e di qui godiamo bei paesaggi sul Casentino, la vallata dell’Arno, e il Pratomagno. Ma la fame ci spinge a proseguire senza interruzioni verso la tavola, che troveremo al rif. Asqua, a mezz’ora di strada bianca in dolce salita. Qui i simpatici rifugieri, una famigliola di babbo mamma e tre bimbette, ci attendono con gustosi antipasti di crostini misti, due portate di tagliatelle, al cinghiale e ai tartufi, e caffé della moka. Dopo ci vorrebbe una buona siesta per digerire, ma non possiamo prolungarla troppo, perché abbiamo ancora 3-4 km di salita, comunque sempre lieve e dall’ottimo fondo. In cima troviamo lo stagno, dove tra erbe palustri, alberi emergenti dall’acqua e tronchi caduti albergano i tritoni e altre specie fluviali. Poi con 1 km di discesa siamo alle auto. La pedalata pomeridiana non è bastata a digerire il pranzo, quindi sulla via del ritorno nuova sosta a Camaldoli, per un digestivo caldo. Doverosa anche una visita alla cinquecentesca Farmacia dei monaci, per rimirare le antiche ceramiche e approvvigionarci del famoso Laurum a 45°, fatto con le erbe della foresta. Risaliti in auto si scende alla statale e si risale a valicare i Mandrioli. Di qui, prima che cali del tutto il buio, facciamo in tempo a osservare lo spettacolo delle vette che nel cielo blu svettano dal materasso di nebbia, steso 100 metri più in basso.
Mario Alai